Sulla tragedia di Gaza sono state sprecate tante parole. Alcune a sproposito, altre fuorvianti, altre ancora azzeccate. Da genocidio, a crimini contro l'umanità. E addirittura Bibi Netanyhau ha fatto il paragone non felicissimo con Sparta. Per me c'è qualcosa di meno ma per altri versi di più. Si ha la sensazione che Israele abbia dimenticato la propria storia. Abbia archiviato le cronache di duemila anni fa. Al punto di riproporre quella tragedia, la tragedia del suo popolo, dando l'impressione - lo dico sperando che non sia così - di essersi calata con l'amaro sapore della nemesi nel ruolo del persecutore e non più della vittima. Torniamo alla storia romana: la Giudea che diventa provincia dell'Impero; Tito che soffoca una rivolta e distrugge il Secondo Tempio; e infine Adriano che dopo la rivolta di Bar Kokhba cambia il nome a Gerusalemme e la rende "off limits" per gli ebrei. Sono le date principali della "diaspora ebraica", cioè della dispersione dei giudei nel mondo, della condanna di un popolo privato della patria, di una maledizione durata fino a settanta anni fa. Ora le cronache di Gaza, il progetto di trasformarla in un enorme resort che ricorda l'Aelia Capitolina, la Gerusalemme di Adriano, la follia di immaginare di trasferire due milioni di persone in giro per il mondo materializza l'incubo di una "diaspora palestinese". Non è un genocidio perché non ci sono campi di concentramento o camere a gas, ma il governo di Gerusalemme sembra aver rimosso la tragedia millenaria che ha colpito Israele al punto di condannare allo stesso destino, a vagare per il mondo, un altro popolo.
E la prima vittima di un'operazione anacronistica, di un ritorno al passato tragico, è proprio Israele. Per chi l'ama - e io sono tra quelli - bisogna salvare Israele da se stessa. Perché non è l'immagine di una nuova Sparta, di una nuova potenza militare che può garantirla. Ma, com'è avvenuto finora, la solidarietà internazionale, la simpatia delle opinioni pubbliche delle grandi democrazie ancor più delle buone relazioni con i governi. L'idea e l'impegno di salvaguardare, appunto, un Paese con gli stessi valori di libertà dell'Occidente in un Medio Oriente in balia di regimi autoritari e teocrazie. Purtroppo le immagini dei morti e delle macerie di Gaza City stanno bruciando questo patrimonio. Perché il punto non è l'eliminazione radicale di Hamas che è sacrosanta, ma di far pagare il sangue del 7 ottobre ad un intero popolo. Appunto, come fecero i romani duemila anni fa. Ma soprattutto di non avere un'idea - se non la "diaspora palestinese" - sul come porre fine a questa tragedia. Perché paradossalmente può avere anche un senso occupare Gaza e farla finita con lo stillicidio di lutti quotidiano, liberare gli ostaggi costi quello che costi, ma poi deve essere chiaro che Gaza deve tornare ai palestinesi sotto l'egida dei paesi arabi moderati. Devi costringere a confrontarsi due modi di interpretare l'Islam, devi mettere queste due facce davanti allo specchio. Ecco perché l'ipotesi dei "due popoli due Stati", sposata dai governi europei dalla Francia all'Inghilterra, alla Spagna e piano piano anche da Italia e Germania, anche se oggi appare irrealizzabile, anche se qualcuno continua considerarla una bestemmia a Gerusalemme, è l'unica possibile. L'alternativa è una "diaspora palestinese" duemila anni dopo con tutto quello che ne consegue in termini di odio, di terrorismo, di morti e di tragedie.