Gentile direttore Feltri,
l'omicidio di Charlie Kirk è la dimostrazione che la violenza è ancora presente in una determinata parte politica. Ma la cosa grave - oltre all'omicidio, ovviamente - è il silenzio di coloro che si spacciano per democratici, ossia gli esponenti del Pd & C. ; che di «democratico» hanno solo il nome. Ma nella loro ideologia sono sempre comunisti, e - in quanto tali - non sopportano l'idea che qualcuno possa pensare diversamente da loro. Basti guardare gli sfregi fatti alle lapidi - come, per esempio, a quella di Sergio Ramelli -, o all'imbrattamento a Grosseto del cartello di via Giorgio Almirante; ovviamente i dem non hanno mai detto nulla.
Ma la cosa che più mi terrorizza sono i giovani che sostengono una lotta politica armata, che in piazza sfoggiano bandiere delle Brigate rosse, senza alcuna denunzia dalla parte politica più affine: la sinistra.
Io credo che, come affermato un anno fa al Sole 24 ore dal ministro Lollobrigida, stiamo tornando al periodo delle Br; l'unica differenza è che in quegli anni i terroristi rossi colpivano anche membri del Pci considerandoli traditori, oggi gli stessi comunisti del Pd - sventolando una falsa democrazia - appoggiano questi criminali.
Vorrei sapere cosa ne pensa direttore.
Nicola Taurasi
Caro Nicola,
tu hai ragione: il problema non è soltanto l'omicidio brutale di Charlie Kirk, ma la reazione ipocrita, ambigua o del tutto assente di quella parte politica che ama definirsi «democratica» ma che, nei fatti, applica una democrazia selettiva: solo per sé stessa e per chi la pensa come lei. Quando un presunto estremista di destra compie un atto violento o anche solo viene sospettato di pensarla in modo «scorretto», la condanna è immediata, unanime, martellante, amplificata dai media, dalle istituzioni, dai talk show.
Quando invece è un militante di sinistra, o peggio, un figlio ideologico delle Brigate Rosse, a colpire, scende il silenzio. Un silenzio assordante, vile, complice e colpevole.
In Italia la violenza rossa non è mai scomparsa: ha cambiato pelle, ha mutato linguaggio, ma non ha mai rinnegato sé stessa. Oggi si presenta con i centri sociali, con gli «antifa» di professione, con certi movimenti apparentemente «per la pace» che aggrediscono chi dissente, che incendiano, devastano, sfondano vetrine, offendono le forze dell'ordine e insultano i caduti di parte avversa. Il caso della lapide di Sergio Ramelli martire di 18 anni, massacrato a colpi di chiave inglese da militanti di sinistra è solo uno degli esempi di questa barbarie che viene ancora oggi giustificata o ignorata.
In nome dell'antifascismo, diventato ormai una religione laica e distorta, usata per giustificare ogni nefandezza, si tace su crimini veri, odi veri, spesso conditi dal fetore ideologico dell'estrema sinistra.
La bandiera delle Brigate Rosse sventola di nuovo, e non lo dico per retorica: la si vede davvero, nei cortei, nelle occupazioni, nei presidi pro-Palestina, persino nelle università. Ma nessuno, a sinistra, si indigna. Nessuno prende le distanze. Nessuno grida allo scandalo. Perché? Perché in fondo quel simbolo non li disturba. Anzi. Come ricordi bene, lo stesso Almirante è ancora bersaglio di un odio che non muore mai, mentre nelle stesse città si intitolano strade a partigiani sanguinari o a «compagni» con un curriculum armato. Questo non è un Paese normale: è un Paese che ha rimosso i crimini del comunismo, che non ha mai fatto i conti con la propria metà rossa, e che continua a indulgere verso una violenza che, se fosse nera, verrebbe definita subito «terrorismo».
E a proposito: quella che oggi vediamo è una nuova forma di terrorismo. Un terrorismo ideologico, travestito da attivismo, che colpisce le parole prima delle persone, che cancella, emargina, minaccia, massacra chi osa dissentire. I giovani che portano in piazza le bandiere delle Br o inneggiano a Hamas non sono «ragazzate». Sono il frutto avvelenato di anni di indulgenza, di doppi standard, di educazione selettiva. Quando Lollobrigida disse che stavamo tornando agli anni delle Br, fu deriso. Ora chi ha ancora onestà intellettuale dovrebbe dargli atto di aver avuto ragione. E hai ragione anche tu, caro Nicola: oggi, a differenza del passato, i sedicenti «democratici» non soltanto non sono più vittime di questi estremismi, ma spesso li coccolano, li tollerano, li assecondano. Perché parlano la stessa lingua, perché condividono la stessa allergia per chiunque abbia l'ardire di non allinearsi.
Ma attenzione: la storia insegna che la violenza ideologica non si ferma mai dove la si vorrebbe fermare. Tracima.
E noi, per quel che ci riguarda, non abbiamo nessuna intenzione di tacere. Finché ci sarà chi infanga i nostri martiri, chi inneggia ai loro carnefici, chi odia in nome dell'ideologia, noi continueremo a denunciare, a raccontare, a resistere. E a ricordare a tutti che la libertà non appartiene alla sinistra. Appartiene a chiunque abbia il coraggio di difenderla.