Morte e mistero nella Brianza anni '80

Scritto il 27/07/2025
da Paolo Bianchi

Dacci oggi il nostro omicidio quotidiano. La morte violenta entra nelle nostre vite di spettatori, il più delle volte perché ce la andiamo a cercare.

Non si spiegherebbe sennò il successo di trasmissioni tv, podcast e narrativa di genere dove c'è sempre da discutere su chi sia stato ad assassinare qualcun altro, e soprattutto perché. Il romanzo di Michele Brambilla, Non è successo niente di grave (Baldini & Castoldi, pagg. 180, euro 19) contiene in effetti un delitto, un'indagine e la sua soluzione. Ma non può essere incasellato semplicemente nella definizione di genere giallo o noir, per via di una componente autobiografica molto rilevante e intrecciata alla finzione tanto da non esserne facilmente districabile (solo alla fine l'autore fornisce una guida distintiva). È invece anche un romanzo di formazione, nello specifico della forgiatura di un cronista giovanissimo alle prese con un fatto che deve riuscire, se non a risolvere, perlomeno a raccontare prima e possibilmente meglio degli altri.

Il fatto è questo. Anno 1980, 7 marzo, Besana Brianza: Caterina Besozzi, 34 anni, medico di base, celibe, viene trovata morta in casa propria dal fratello che era ospite a cena da lei ogni settimana. Le indagini fanno capo a un placido maresciallo dei carabinieri e a un poco malleabile sostituto procuratore della Repubblica. Giornalista di lungo corso, Brambilla percorre però soprattutto un viaggio nella memoria, intriso di nostalgia per un periodo della vita che quasi sempre, superata la soglia di una certa età, riguardiamo attraverso filtri che ce lo raddolciscono. "Non permetterò a nessuno di dire che è l'età più bella della vita", sosteneva Paul Nizan in uno degli incipit più celebri del Novecento. Difficile pensare che Brambilla sia d'accordo. Il reporter del Corriere d'Informazione, giornale del pomeriggio, attraversa le livide albe della periferia milanese in compagnia del collega Beppe, comunista ortodosso de L'Unità. I due formano un sodalizio professionale e umano muovendosi, tra tentativi goffi e intuizioni brillanti, sul terreno e nel sottobosco della caccia al colpevole.

C'è, dentro la storia, tutto il mondo della provincia ricca, in uno dei periodi di maggior prosperità economica del Paese. Un piccolo cosmo che culturalmente ha ancora un piede nel bigottismo democristiano, ma già ha imboccato la strada postmoderna di un radicale rivolgimento dello scenario sociale. Ci sono i telefoni a gettoni, le chiamate interurbane, gli articoli dettati ai dimafonisti, la posta pneumatica, le macchine da scrivere pesanti come catafalchi. Sistemi di comunicazione che di lì a poco muteranno per sempre, con le dirette televisive e l'inevitabile morte progressiva dei giornali pomeridiani. Tra i capannoni e le fabbrichette brianzoli, innervati dall'etica del lavoro e dei danè, e la sponda magra del lago Maggiore si muovono personaggi da commedia all'italiana, cumenda che trescano con le segretarie, mogli brutte ma ricche, baristi tombeurs de femme, pettegoli, maldicenti, parroci che sanno tutto e non dicono niente, abitudinari della notte, ladri, prostitute, infiltrati.

Restano, alla fine, una donna trucidata, una società ferita, un giornalista diventato uomo.