Pensioni oltre i 2.500 euro un taglio secco ogni anno

Scritto il 18/09/2025
da Gian Maria De Francesco

Decurtate di oltre 1.000 euro nell’ultimo decennio. L’assegno sopra i 5.500 ne ha persi quasi 100mila

La legge di Bilancio 2024, insieme all'inflazione record del biennio alle spalle, ha provocato un pesante ridimensionamento delle pensioni medio-alte. È quanto emerge dall'Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate La svalutazione delle pensioni in Italia, realizzato da Cida e Itinerari Previdenziali, secondo cui le perdite per i pensionati oscillano da 13.000 euro fino a oltre 115.000 euro nell'arco di dieci anni, a seconda dell'importo degli assegni a partire da 2.500 euro. Dal 2012 al 2025, complice il susseguirsi di blocchi e tagli, le pensioni hanno subito una svalutazione complessiva di oltre il 21%. Una pensione da 10.000 euro lordi mensili ha perso quasi 178.000 euro, mentre un assegno da 5.500 euro lordi ha visto svanire circa 96.000 euro. Nonostante ciò, 1,8 milioni di pensionati con redditi oltre i 35.000 euro lordi appena il 14% del totale versano da soli il 46,33% dell'Irpef della categoria. Per Stefano Cuzzilla, presidente di Cida, si tratta di una vera ingiustizia: «In trent'anni le pensioni medio-alte hanno perso oltre un quarto del loro potere d'acquisto: una pensione da 10 mila euro lordi al mese ha visto svanire quasi 180 mila euro, l'equivalente di un anno intero di assegno». Cuzzilla sottolinea la contraddizione del sistema: «Siamo di fronte a un autentico rovesciamento del principio di equità. Chi ha versato per decenni ed è il principale sostenitore fiscale del Paese è proprio chi oggi viene colpito di più».

Per il leader di Cida, la narrazione sulle pensioni va ribaltata: «Le pensioni non sono un privilegio, ma salario differito, frutto di una vita di lavoro e di tasse pagate. Sono anche il più grande patto intergenerazionale: chi lavora oggi sostiene chi ha lavorato ieri, nella certezza che domani il proprio impegno sarà riconosciuto». Sulla stessa linea anche Alberto Brambilla, presidente del Centro studi Itinerari Previdenziali: «Rispetto alle persone in età attiva, i pensionati hanno meno possibilità di difendersi dall'inflazione, tanto che il mantenimento del loro potere d'acquisto è affidato quasi esclusivamente ai meccanismi di indicizzazione: ecco perché sarebbe innanzitutto importante avere regole stabili nel tempo e, ancora di più, eque». Un punto critico riguarda il meccanismo di rivalutazione. «La perequazione sfavorevole è stata applicata sull'intero reddito pensionistico e non per scaglioni precisa Brambilla Nel 2023, ad esempio, un pensionato con rendita tra 2.627 e 3.152 euro ha visto rivalutata l'intera pensione al 4,3%, mentre l'inflazione reale era dell'8,1%». Cuzzilla conclude con un appello alla politica e alla magistratura: «La fiducia del sistema previdenziale si regge sulla certezza del diritto e sulla stabilità delle regole. Colpire chi ha versato quarant'anni di contributi significa rompere il patto sociale e generazionale. Non è un caso che la Corte Costituzionale abbia richiamato l'attenzione del legislatore su questi squilibri, e che il Tribunale di Trento abbia appena rinviato la questione per un nuovo esame. È un segnale che ci dà un cauto ottimismo: rimediare è possibile».